La fama di Bellano è affidata soprattutto alla triade Sigismondo Boldoni, Tommaso Grossi e Antonio Balbiani. Ma troppo tempo è trascorso dalla lontana estate del 1889 in cui il Balbiani si spegneva nella sua povera casa per non riprendere il discorso sull’ininterrotto filone che ha sempre legato la cittadina alla cultura. Un nome si può aggiungere alla triade: quello di Bartolomeo Nogara – secondo dei tredici figli di Giovanni e di Giulia Vitali – che vede la luce a Bellano il 28 aprile 1868.
Il giovane Nogara compie gli studi classici al “Parini” ed al “Beccaria” di Milano, ospite dello zio Bernardino canonico del Duomo. Nel 1887 s’iscrive alla facoltà di lettere – l’allora Accademia scientifico-letteraria – e furono suoi compagni Filippo Meda, Paolo Belezza, Giovanni Bognetti, Avancinio Avancini, Giovanni Bertacchi.
La sua prima attenzione è rivolta alla critica del romanzo contemporaneo: Capranica, De Roberto, Panzini, Verga. È il tempo della sua formazione cattolica che lo porterà ben presto – negli anni che vanno dal 1894 al 1900 – nella cerchia dei frequentatori del Cardinal Ferrari.
Si laurea nel luglio del 1891 e nel 1895 consegue presso l’Università di Genova anche la laurea in legge.
Nasce allora quella che fu definita la sua “austera vocazione” per gli studi di etruscologia che lo portano a raccogliere, sotto la direzione del Lattes, una prima serie inedita di iscrizione etrusche e messa piche.
Nel 1900 avviene una svolta nella vita del giovane studioso con l’inizio di un lungo appassionato lavoro: è chiamato a Roma da Papa Leone XIII come scrittore latino della Vaticana e Direttore speciale del Museo Gregoriano Etrusco. Nel 1903 è nominato da Pio X conservatore del Museo profano annesso alla Bilioteca Vaticana e nel 1920 – sotto Benedetto XV – è direttore generale dei Monumenti, Musei e Gallerie Pontificie. Nel 1924, infine, assume anche la carica di Direttore del Museo Petriano.
Sotto la sua guida i musei e le gallerie d’arte del Vaticano e del Laterano ebbero un singolare incremento. Per la prima volta in Italia vengono istituiti accanto ai musei i laboratori di restauro per le terracotte, per i metalli antichi, per le pitture, i mosaici, gli arazzi, nonché il Gabinetto di ricerche scientifiche improntato a moderni e rigorosi criteri.
Vi trascorre più di cinquant’anni con memorie di ben cinque Papi. “Singolare ventura di un archeologo – dice il Grenier – che aveva trovato per la sua vita di studio il quadro maestoso e splendido dei Palazzi Vaticani”. Durante l’ultimo conflitto gli stessi raccolgono nei loro magazzini i maggiori capolavori d’arte dello Stato italiano ed il Nogara ebbe da Umberto II il titolo baronale – trasmissibile – per questa provvidenziale opera di custodia.
Parlare dei 215 scritti tra maggiori e minori del Nogara non si può fare che per sommi cenni, seguendo i tre filoni principali che caratterizzarono la sua attività: l’Etruscologia, l’Archeologia con la storia dell’arte antica e l’Arte medioevale e moderna.
Per l’Etruscologia si scrisse di lui: “lungi dal divagare tra i miraggi di seducenti ipotesi, puntava all’esame e all’interpretazione delle testimonianze concrete”, ed è sua la tesi che per tanti aspetti l’Etruria si spiega con Roma e Roma a sua volta con l’Etruria. Nel 1933 pubblica Gli Etruschi e la loro civiltà. Con lo svedese Olano Augusto Danielsson ed il tedesco Gustavo Herbig prepara il secondo volume del Corpus Inscriptionum Etruscarum, continuazione dell’opera intrapresa da Carlo Pauli. Numerosi gli scritti, le memorie, le note che dedica a tale disciplina. Insegna all’Università per stranieri di Perugia, ed il suo volume sulla civiltà degli Etruschi è tradotto in francese dall’editore Payot di Parigi. Nel 1929-30 tiene pure corsi nelle prestigiose Università di Cambridge e di Oxford.
Per l’Archeologia e la storia dell’arte antica è del 1907 il volume sulla pittura Le nozza Aldobrandine, insieme coi paesaggi con scene dell’Odissea e le altre pitture murali antiche conservate nella Biblioteca Vaticana e nei Musei Pontifici. Del 1910 è il grosso volume riccamente illustrato Mosaici antichi conservati nei palazzi pontifici del Vaticano e del Laterano. Seguono opere minori, l’ultima sui monumenti romani scoperti negli anni 1938-39 nel palazzo della Cancelleria; tutte opere – è stato detto – che sono “la testimonianza di un metodo impeccabile di lavoro che mette a profitto la conoscenza archivistica con quella archelogica ed artistica, la sobrietà della forma con la perfetta organizzazione del sistema iconografico ed illustrativo”.
Per l’Arte e gli artisti italiani cura nel 1920 Raffaello nella storia dell’arte e della civiltà cristiana e nel 1921 il grandioso volume di 125 tavole in folio Le stanze di Raffaello, stanza della Segnatura. Di Michelangelo studiò i restauri degli affreschi della Cappella Sistina e della Cappella Paolina. Né va dimenticato che – come scrittore della Vaticana – trae da un manoscritto la cronaca di Freculfo, raccoglie nel 1912 il III Catalogo di Manoscritti vaticani latini, stampa nel 1927 gli scritti inediti o rari di Flavio Biondo.
Tra gli scritti minori – si fa per dire – un cenno a parte meritano gli apporti del Nogara alla terra di origine. Ecco nel 1912 illustrare un mosaico scoperto a Como durante la costruzione della sede della Società Bancaria Italiana; studiare nel 1916 arnesi romani venuti in luce lungo le vecchia mura nei lavori per la casa Pedraglio; collaborare nel 1944 al volume “Munera”, in memoria dell’ing. Giussani, con una sintesi sopra La vocazione artistica dell’antica provincia e diocesi di Como dove sostiene che l’arte e l’artigianato dei Comaschi sono dovuti “a quel filone di sangue etrusco ce si era mantenuto anche sotto la dominazione romana e si fuse col sangue latino”. Tutti studi pubblicati dalla Società Archeologica Comense, di cui fu consigliere fino al 1907.
Piace ricordare per ultimi gli Appunti storici descrittivi pubblicati in occasione dei restauri della chiesa prepositurale di Bellano nel 1930, un piccolo volume che rimane fondamentale per la conoscenza del tempio tardoromanico bellanese e testimonia l’amore per la terra natale, che solo a tratti gli era concesso di rivedere nei momenti di riposo. Momenti che trascorreva nella grande villa – sommersa nel verde e rallegrata dalla vista del lago – che conservava nel suo ombroso raccoglimento quasi il fascino delle silenziose stanze vaticane.
Quando nel 1954 si spegne a Roma, al di là dell’unanime cordoglio, il grande mosaico della sua vita è compiuto. Un mosaico fatto di studio, di ricerca sistematica, d’ininterrotta passione. Con lui moriva – si disse – forse l’ultimo uomo del Rinascimento. (testo di Luciano Lombardi, in Communitas. Annali del Centro studi storici Val Menaggio, 1983).
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